GEOSITO Gessi di Scandiano

I geositi sono luoghi che presentano aspetti geologici di rarità e unicità, restituendo informazioni fondamentali per la conoscenza del territorio: formazioni rocciose, rupi, cascate, gessi, calanchi, meandri, cave, valli, grotte, miniere, sorgenti, foci, … sono solo alcuni esempi di elementi catalogati come “geositi”, un patrimonio che contribuisce a disegnare il paesaggio del nostro territorio.

La Legge Regionale 9/2006 riconosce il pubblico interesse alla tutela, gestione e valorizzazione del patrimonio geologico e promuove la conoscenza, la fruizione pubblica sostenibile, nell’ambito della conservazione del bene, e l’utilizzo didattico dei luoghi di interesse geologico, delle grotte e dei paesaggi geologici.

Da settembre 2023 parte del geosito Gessi di Scandiano rientra ufficialmente nel sito World Heritage UNESCO denominato Carsismo e Grotte nelle Evaporiti dell’Appennino Settentrionale.

Si tratta di un grande sconvolgimento geologico che interessò l’intero bacino del Mar Mediterraneo e direttamente anche questo territorio. Avvenne da 5,97 a 5,33 milioni di anni fa, alla fine dell’età messiniana e vide come protagonisti i cicli di chiusura parziale o totale dello «Stretto di Gibilterra», l’unica via di comunicazione del mare Mediterraneo con l’oceano Atlantico.

Questa chiusura probabilmente avvenne per un sollevamento tettonico dell’area ed ebbe come risultato la trasformazione del mare in un gigantesco lago (o mare chiuso). Questo specchio d’acqua non compensava l’evaporazione delle sue acque con l’apporto fluviale dai due continenti, situazione simile a quella odierna. Piogge e fiumi non potrebbero mai compensare l’evaporazione in caso di una nuova chiusura dello stretto e nell’arco di un migliaio di anni si arriverebbe alla scomparsa del Mar Mediterraneo.

Quando l’acqua salata del mare evapora di quasi la metà del suo volume, inizia la precipitazione dei sali in essa contenuti. Dapprima precipitano il carbonato di calcio e gli ossidi di ferro, successivamente il solfato di calcio (gesso) e infine i cloruri: prima il cloruro di sodio, poi di magnesio ed infine di potassio.

Questo ciclo di evaporazione non si è manifestato in un solo evento isolato, ma si è ripetuto più volte con spessori di deposizione diversi da 2 a 30 metri.

All’inizio del Pliocene (circa 5,33 Ma), con la nuova apertura dello stretto di Gibilterra, inizia l’alluvione Zancleana, che con cascate di altezza superiore ad ogni altra cascata conosciuta oggi, nuovamente riempie il mare Mediterraneo.


Rappresentazione del geminato di gesso “a coda di rondine”

Nello scandianese riemerge un affioramento di gesso messiniano.

Queste sono rocce sedimentarie di origine chimica che prendono il nome dal periodo geologico noto come Messiniano (7,2 – 5,3 Ma), ultimo piano del Miocene. In particolare la deposizione dei gessi è avvenuta nell’intervallo 5,97 – 5,33 Ma. Questo periodo, infatti, è stato caratterizzato da eventi climatici significativi, tra cui la chiusura parziale del Mar Mediterraneo, che hanno creato un ambiente marino parzialmente o completamente prosciugato e per questo estremamente salato, al punto tale da portare alla deposizione dei sali stessi sui margini e sul fondo del bacino.

I gessi messiniani sono depositi sedimentari di origine chimica formatisi in questo ambiente particolare. Sono composti principalmente da gesso, una roccia evaporitica solubile formata da solfato di calcio idratato. Questi depositi di gesso si sono formati quando l’acqua marina è gradualmente evaporata a causa dell’abbassamento della soglia di Gibilterra e la scarsa circolazione (o interruzione) della circolazione atlantica che favorì l’aumento di salinità del Mediterraneo, tale da portare a sovrasaturazione delle acque e quindi solidificazione dei sali stessi, fra cui il gesso.

L’evento di prosciugamento parziale del Mar Mediterraneo, noto come “crisi di salinità messiniana”, ha avuto un impatto significativo sull’ambiente e sulla fauna marina. Durante questo periodo, il Mediterraneo è diventato un’enorme depressione con un clima secco e desertico a causa della chiusura dello Stretto di Gibilterra.

La ciclicità degli eventi di chiusura parziale o totale giustifica gli spessori di gesso effettivamente depositati. Si può stimare, con buona approssimazione, che l’evaporazione di 1000 metri di colonna d’acqua di mare dia origine a 1 metro di spessore di gesso (oltre agli altri sali) e, complessivamente, lo spessore della successione Gessoso-Solfifera, considerando tutti i 16 strati di cui è composta, raggiunge uno spessore di oltre 200 metri.

L’elevatissima concentrazione di sale del Mar Mediterraneo (o di ciò che ne rimaneva), ha di fatto cancellato pressoché tutte le forme di vita marina presenti al suo interno.

In geologia, il termine “gesso” si riferisce a una roccia sedimentaria di origine chimica composta principalmente da solfato di calcio bi-idrato (CaSO4 · 2H2O). È una forma di Evaporiti, il che significa che si forma quando l’acqua evapora e lascia depositi di sali minerali dietro di sé.

Le varie forme di gesso si distinguono innanzitutto in gesso primario e secondario. Il primario è quello di prima formazione, le cui forme principali sono: alabastrino, selenitico. Il secondario quello che deriva da modificazioni di vario tipo del gesso primario, ad esempio il gesso saccaroide, sericolitico ed il famoso “lapis specularis”, utilizzato dai Romani come vetro per le finestre.

Il gesso messiniano primario che affiora in Emilia-Romagna è sostanzialmente quello selenitico. (Selenite = pietra di luna, per i riflessi argentei della roccia) ed è una roccia formata da un insieme di macro-cristalli, ciascuno ben distinguibile da quelli adiacenti e spesso cresciuti fino a dimensioni decimetriche o, in alcuni casi, anche metriche. Le tipiche modalità di accrescimento dei cristalli di gesso (crescita epitassiale) li mette in contatto reciproco a formare i cosiddetti “geminati”, le cui forme principali sono quelle a ferro di lancia e a coda di rondine.

Questo processo di crescita epitassiale può essere influenzato da vari fattori, tra cui la concentrazione dei soluti, la temperatura, il pH e la velocità di evaporazione, che possono contribuire alla formazione di strutture cristalline particolari come la coda di rondine.

Provenendo dalla Romagna, la vena di gesso, emerge quasi in continuità dall’Appennino ravennate, fino al bolognese, per scomparire sotto il modenese e riemergere alla luce proprio alle spalle di Scandiano, alle pendici del Monte del Gesso. L’area di cava retrostante il monte e le frane ne hanno nascosto la presenza in modo considerevole, ma questa riemerge nel punto in cui attraversa il Torrente Tresinaro di fronte alle località di Gessi/Mazzalasino. Qui la vena prosegue tra i boschi di quercia e frassino, per spingersi verso Borzano e Vezzano sul Crostolo.

Un bell’esempio di carsismo all’interno del perimetro del geosito dei “Gessi di Scandiano” è rappresentato dalla presenza di 4 cavità naturali, che sono uno dei motivi principali dell’inserimento della zona come Patrimonio UNESCO. Si tratta di 4 grotte denominate: Buco del Laccoi (RE 482) – Grotta del Terenzano (RE 13) – Grotticella di Figno (RE 286) – Tana della Volpe (RE 285).

Il gesso venne studiato già a partire dal 1500. Fra questi ricordiamo diversi scienziati come Giambattista Venturi, Antonio Vallisneri e Lazzaro Spallanzani. Raccontavano della peculiarità del nostro territorio che vedeva gesso di scagliola (o Selenite o specchio d’asino) tra la argille utili per le terre cotte e zolfo di buona qualità commerciabili dal Ducato Estense.

Lo zolfo veniva estratto in più di una miniera, in filoni incastrati tra le argille che si trovavano nei pressi del Rio dello Zolfo. Fu scoperto attorno al 1690 e il Principe Luigi d’Este nel 1695 vi fece costruire una miniera.          

La vena non era molto estesa e la scoperta di più ricchi depositi nella Romagna fecero cessare ogni estrazione nell’800. I cristalli di zolfo scandianese più belli si trovano nei musei delle Università di Padova e Pavia, qui portati da Vallisneri e Spallanzani.

Il gesso è un materiale versatile con una vasta gamma di utilizzi in diversi settori. In passato veniva ampiamente adoperato come materiale da costruzione ad esempio come base delle torri di Bologna e di molti palazzi, per la realizzazione di stucchi e decorazioni. Attualmente viene anche impiegato sotto forma di lastre di cartongesso per creare pareti divisorie leggere, come intonaco per rivestire pareti e soffitti, per stuccare crepe, buchi e imperfezioni prima della pittura o del rivestimento.

In ambito artistico, il gesso è utilizzato nella creazione di sculture, statue e modelli. Viene versato in stampi per creare riproduzioni di oggetti o opere d’arte e può essere modellato a mano per realizzare opere scultoree uniche. E’ utilizzato anche nel campo medico, ortopedico e in odontoiatria.

Il gesso agricolo, noto anche come solfato di calcio, viene utilizzato come correttivo del terreno per migliorare la struttura del suolo, ridurre l’acidità e aumentare la disponibilità di nutrienti per le piante.

La presenza del gesso sulla pedecollinare reggiana è conosciuta da sempre. Questi blocchi di roccia più solida rispetto alle circostanti argille rappresentavano un ottimo appoggio per i fortilizi del periodo medioevale. Successivamente si è arrivati allo sfruttamento per scopi edili e diverse fornaci erano attive tra Scandiano e Vezzano sul Crostolo, con impatti antropici da subito importanti. Interi boschi venivano tagliati per l’approvvigionamento delle fornaci che dovevano ardere giorno e notte. Al tempo stesso la morfologia delle colline cambiava a seguito degli sbancamenti delle cave. La preparazione della calce in epoca preindustriale prevedeva lo scavo di un forno a forma di cilindro sopra il pendio di un versante, alto 3 metri con una base circolare di circa 1,5 metri di raggio. Davanti al forno ricavavano un’apertura e una trincea che servivano per alimentare il forno con la legna. Il forno, nella parte interna, era foderato di pietre da calce ed era chiuso nella parte superiore interna a cupola. All’esterno la cupola era coperta da un sottile strato di terra. La base interna del cilindro era a forma di scodella per raccogliere meglio la cenere. Il fornello, riempito dalle rocce raccolte in cava, veniva acceso introducendo la legna dall’apertura sul davanti. Per cuocere le pietre da calce il fuoco doveva ardere 4/5 giorni ininterrottamente. Terminata la cottura di queste pietre, si otteneva calce viva che, successivamente, veniva immersa in acqua per «spegnerla». La lavorazione del gesso, invece, prevedeva la sua cottura in forno per disidratarlo e la sua successiva macinazione e insacchettamento in sacchi di juta.

Con Regio Decreto Sovrano, il 16 giugno 1858 si approvò la costruzione della grande fabbrica del cemento, della calce idraulica e del gesso di Scandiano comprensiva di utilizzo di un’antica miniera di zolfo. La spinta alla crescita dell’estrazione del gesso e produzione di calce idraulica venne della decisione di sviluppare una rete ferroviaria nella Pianura Padana che collegasse le città di Bologna e Piacenza, passando per tutti i capoluoghi dell’Emilia. Con la cacciata degli austriaci da Milano, nel 1859, le azioni passarono alla Società Ferrovie Alta Italia e dal 1863-68 subentrò in cordata una società formata da Luigi Fontana, Prospero Testi, Gherardo Camuncoli e Giulio Balletti.

Con lo sviluppo della rete ferroviaria in provincia e la crescita di produzione di calce che toccò i 100.000 quintali annui, il 16 ottobre 1883, venne inaugurata la linea Reggio Emilia – Ventoso, a scartamento ridotto. La prima locomotiva fu battezzata «Margherita» in onore della Regina d’Italia e la seconda venne chiamata “Scandiano”. Per un paio di settimane fu aperta al solo traffico passeggeri per permettere agli abitanti di Reggio Emilia di visitare Scandiano e la sua fabbrica che, al tempo, era una delle maggiori del territorio reggiano. Il percorso prevedeva fermate a Buco del Signore, Fogliano, Bosco, Scandiano e Ventoso. Il 1º novembre dello stesso anno fu aperta anche al traffico merci.

Nel 1886 venne inaugurata anche la tratta Reggio Emilia – Guastalla a scartamento ordinario. Il 5 giugno 1890 si decise di convertire anche la tratta Reggio Emilia – Scandiano, ma non furono convertiti gli ultimi 1.500 metri che conducevano a Cà de Caroli.

Dopo poco, il 6 settembre 1891, si arrivò alla chiusura di questo moncone ed al conseguente spostamento della stazione ferroviaria di Scandiano da via Mazzini alla posizione odierna.

Nel 1903 venne messa in funzione una teleferica che collegava la fabbrica alla cava, così da poter portare il materiale estratto dalla cava alle fornaci più velocemente e a minor costo rispetto alla trazione animale. Dal piazzale un sistema Decauville di piccoli vagoni e rotaie raggiungeva le ciminiere. Ciò fece aumentare notevolmente la produzione che, in breve, raggiunse oltre 250.000 quintali di solo cemento. Per tale motivo si arrivò a riaprire i binari della ferrovia in direzione Scandiano, necessaria per conferire il carbone che alimentava le fornaci e soddisfare la crescente richiesta di materiale edile. Nel 1911 si raggiunsero già i 600.000 quintali, grazie anche alla scoperta di nuovi sistemi di lavorazione come la scoperta del moderno cemento Portland.

Con la Prima Guerra Mondiale la produzione calò drasticamente per la carenza di uomini. La ripresa nel ventennio fascista fu da prima ragguardevole, poi la disoccupazione dilagò. In questi anni gli operai avanzarono diverse rivendicazioni di miglioramento delle condizioni di lavoro e aumento salariale. Nel 1931 il prefetto di Reggio Emilia informò il Duce che una bandiera rossa era stata issata su una delle ciminiere di Cà de Caroli per celebrare il 1° maggio. Furono Gino Bassi e Derno Azzolini a salirvi in piena notte per non essere notati.

Gli anni ‘30 segnarono una svolta con l’arrivo del gruppo industriale Marchino (S.A. Unione Cementi Marchino & C.) di Casale Monferrato. La produzione virò verso prodotti con applicazioni di tipo bellico e ciò fece crescere gli affari in un periodo in cui crescevano i rapporti tra Italia e le sue colonie.

La Seconda Guerra Mondiale determinò un secondo declino della fabbrica. Le richieste minime del mercato venivano soddisfatte con la manodopera di donne e bambini. Nel settembre del 1944 le truppe tedesche presero possesso degli stabili per stoccare qui il carburante necessario per il fronte sfruttando la presenza dello scalo ferroviario. Quando il 7 novembre 1944 i partigiani fecero saltare il ponte sul Torrente Tresinaro, i soldati tedeschi abbandonarono il sito.

Alla fine della guerra, tra molte difficoltà, gli operai fecero ripartire la fabbrica e con il ritorno della proprietà privata cambiò il sistema produttivo in un’ottica di maggior profitto. Negli anni ‘50 venne abbandonata la produzione di gesso e calce, preferendo incentrare il lavoro sul più redditizio cemento.
Questo cambiamento portò alla chiusura delle cave, ma anche ad un aumento importante di polveri sottili che ricoprivano i tetti delle case di Cà de Caroli e venivano inevitabilmente respirate dai lavoratori e cittadini. Crebbero i casi di silicosi e di contaminazione dei prodotti agricoli nei campi.

Sempre come conseguenza di questo abbandono del gesso a favore del cemento, si arrivò alla chiusura della fornace di Ventoso (1949), che era stata inaugurata nel 1914 dall’allora Unione Cattolica Agricola Reggiana. Nel 1948, dopo essere stata rilevata dalla Ditta Marchino, occupava ancora 64 operai.

Nel 1953 la produzione raggiunse gli 830.000 quintali di cemento, ma tutto il materiale veniva importato dall’esterno.

Nonostante i tentativi di miglioramento alla fabbrica avvenuti all’inizio degli anni ‘60, la concorrenza con il mercato estero fu insostenibile e si arrivò alla chiusura definitiva dell’impianto nel giugno del 1964.

Il carsismo è un fenomeno geologico che si verifica principalmente in territori caratterizzati dall’affioramento di rocce solubili in acqua, come il calcare e il gesso. Si tratta di un processo di dissoluzione delle rocce che porta alla formazione di caratteristiche morfologiche, ipogee ed epigee uniche come grotte, doline, inghiottitoi, polje, valli cieche e altre formazioni carsiche. Il gesso è composto principalmente da solfato di calcio bi-idrato (CaSO4 * 2H2O) e può essere facilmente dissolto dall’acqua che contiene anidride carbonica (CO2). Questo processo, noto come dissoluzione, avviene quando l’acqua piovana assorbe CO2 dall’atmosfera o dal suolo, diventando leggermente acida, quindi in grado di dissolvere il gesso sia nel sottosuolo sia in superficie. Nel corso del tempo, questo processo può creare un vasto sistema di forme carsiche sia superficiali (valli cieche, doline, karren, ecc.) sia sotterranee (grotte, inghiottitoi, ecc.). Molte sono le peculiarità del carsismo nei gessi rispetto a quello nei calcari, prima fra tutte il grado di solubilità che, nei gessi, è di un ordine di grandezza superiore rispetto ai calcari. Per questo motivo, la rapidità della degradazione meteorica nei gessi impedisce che tali forme sopravvivano per periodi superiori alle poche decine di migliaia di anni. La provincia di Reggio Emilia può vantare due differenti testimonianze di carsismo nelle evaporiti: oltre ai depositi di gesso messiniano, ci sono i famosissimi gessi triassici della Valle del Secchia. Anche questi rientrano nel sito UNESCO appena istituito.

Queste due manifestazioni sono simili per struttura, ma sono profondamente distanti cronologicamente. Se i gessi messiniani risalgono a poco più di 5 milioni di anni fa, i gessi triassici risalgono a circa 200 milioni di anni fa, in pieno Triassico superiore.

L’inserimento dei gessi scandianesi nel Patrimonio UNESCO è dovuto alla presenza di 4 grotte censite che rientrano in questo territorio. Due si trovano sulla riva destra e due sulla riva sinistra del  Torrente Tresinaro.

Sul versante occidentale sono presenti le grotte denominate:

– Tana della Volpe (RE 285 vedi foto a lato),
– Grotticella di Figno (RE 286).

Queste rientrano nel perimetro del patrimonio UNESCO e sono di media importanza speleologica.

Sul versante orientale sono invece presenti le grotte denominate:

– Buco del Laccio (RE 482),
– Grotta del Terenzano (RE 13).

Queste ultime risultano estinte per crollo. In particolare la grotta del Terenzano (o del falsario) fu osservata da Lazzaro Spallanzani.

ll gesso è un minerale contenente zolfo (o solfo, da cui il simbolo chimico S) sotto forma di solfati. Lo zolfo si trova comunque anche come minerale puro anche nei calcari di base, depositatisi subito prima dei gessi, oppure migrato all’interno di formazioni plioceniche più recenti. L’origine di questo zolfo è controversa.

Le teorie più accreditate sono:

a) trasformazione dei gessi ad opera di solfo-batteri e acque di circolazione sotterrane; b) presenza di idrocarburi ricchi di zolfo, sfuggiti dalle rocce di origine, che migrarono verso l’alto, concentrandosi in “rocce magazzino”.

L’interesse suscitato nel corso dei secoli, a partire dal 1600 ma soprattutto nel ‘800 e ‘900 per lo zolfo ha portato all’apertura di diverse miniere fra cui la cava di Monte del Gesso denominata “La Salata”, gergo dialettale locale per definire una zona di frana. Il rio che in occasione di piogge si forma e defluisce verso il torrente Tresinaro era chiamato “Rio Zolfo”, poiché in questa zona venne trovato questo minerale. Fu tentata l’estrazione, ma venne poi abbandonata per la scoperta di giacimenti più estesi ed economicamente più vantaggiosi in Romagna.

Ci troviamo ai piedi del Monte del Gesso (293 m. s.l.m.), uno sperone roccioso che spicca tra le argille circostanti: è quel che resta di un colle sulla quale sommità era costruito un antico castello di impianto medioevale, che con il vicino castello della Torricella, dominava sul territorio pedecollinare scandianese.

Il toponimo stesso del monte ci racconta di una geologia ben nota agli abitanti del luogo, che da sempre sfruttano il gesso che qui affiora dal terreno. Già ai tempi di Feltrino Boiardo, nel 1423, il gesso e la calce venivano prodotti in gran quantità per l’edilizia locale e la costruzione della vicina rocca.

Il materiale che era estratto dai cavatori veniva ricavato dal duro lavoro di piccone. Le pesanti rocce erano caricate su carri e trasportate alla fornace più vicina per essere cotte ininterrottamente giorno e notte per almeno 4/5 giorni.

Per questa fase si richiedeva una grande quantità di legna e carbone con ripercussioni pesanti sulle coperture boscate dei dintorni.

Nel 1903 venne messa in funzione una teleferica che collegava la fabbrica alla cava, così da poter portare il materiale estratto da questa alle fornaci più velocemente e a minor costo rispetto alla trazione animale. Dal piazzale un sistema Decauville di piccoli vagoni e rotaie raggiungeva le ciminiere. Ciò fece aumentare notevolmente la produzione.

La tratta di circa 800 metri permetteva alle piccole cabine di trasportare il gesso appena rimosso dalla cava oltre il monte fino al piazzale di raccolta. Qui si potevano accumulare discrete scorte di materia prima per poter affrontare il periodo invernale.

Conosciuta anche come “Grotta del Falsario”, è una delle 4 grotte carsiche censite nel territorio comunale di Scandiano. Venne citata dal celebre naturalista scandianese Lazzaro Spallanzani, che racconta di aver visionato la cavità e di avervi rinvenuto un piccolo fornelletto e pareti annerite, quale segno di un passato in cui un falsario coniava qui di nascosto delle monete. Della grotta non vi è più traccia, probabilmente distrutta dall’avanzamento del fronte della cava verso le pareti del monte del Gesso, oppure seppellita da una frana di argilla e riempita di detriti.

A oggi resta solo l’ipotesi di un suo profilo disegnato dal ricercatore Fernando Malavolti nei suoi appunti del 1945.

E’ stato pensato un piccolo percorso di esplorazione che permetterà a tutti di poter scoprire le peculiarità del sito protetto, un’area sfruttata dai tempi antichi fino alla metà del secolo scorso; è un luogo che un po’ alla volta la Natura sta ricolonizzando dopo anni di abbandono da parte dell’uomo.

Troverete una cartellonistica che vi guiderà passo a passo alla scoperta di un angolo nascosto di immensa ricchezza geologica e naturalistica.

Da questo punto di vista si può osservare davanti a voi il punto esatto in cui la vena di gesso messiniano emerge attraversando il torrente Tresinaro, risalire il Rio della Rocca a Gessi-Mazzalasino e proseguire dopo località Figno in direzione del castello di Borzano fino a Vezzano sul Crostolo.

Sono ancora oggi presenti tracce di archeologia industriale che raccontano dell’attività estrattiva del gesso nei tre siti di Cà de Caroli, Ventoso e Mazzalasino. I primi due conservano ancora le caratteristiche ciminiere dove il gesso veniva cotto, mentre del terzo restano le strutture delle fabbriche nel cuore dell’abitato.

Le cave a cielo aperto sono ancora visibili tra la vegetazione e le argille varicolori che le circondano. Gli affioramenti meglio visibili si trovano sul fianco meridionale del monte del Gesso e sulla riva sinistra del torrente Tresinaro alle spalle dell’abitato di Gessi-Mazzalasino. Il toponimo di questa località sembra essere legato alla triste sorte che subivano alcuni degli animali da soma che trainavano dei pesanti rulli che servivano per triturare in polvere le rocce di gesso appena cavate.

Ci troviamo sul fronte estremo della dorsale appenninica che si affaccia sulla pianura: da qui in avanti le rocce del nostro Appennino vengono nascoste nel sottosuolo dai detriti alluvionali trasportati dai fiumi che confluiscono nel Po. Un cuscino di sedimenti, sabbie e ghiaie in area di conoide, limi e argille lontano da queste, che nasconde intere montagne tettonicamente “attive”: per tale ragione alcuni terremoti si manifestano in piena pianura. I gessi messiniani sono tra le più recenti rocce depositatesi nel nostro territorio ed occupano il fronte più avanzato. E’ curioso pensare che anche le rocce più antiche del reggiano siano a loro volta dei gessi, ma si tratta di gessi triassici che si sono formati tra i 210 e 230 milioni di anni fa in un contesto paleogeografico completamente differente da quello dei gessi messiniani.

La storia geologica del reggiano è una storia di sedimentazione in ambiente marino più o meno profondo: solo di recente l’Appennino è emerso dalle acque sotto la spinta tettonica della placca africana che si scontra con quella europea.

Il Torrente Tresinaro è sicuramente stato (ed è tutt’ora) un agente modellante notevole del nostro territorio e ha saputo, nel corso del tempo, plasmare i luoghi come li conosciamo ora. Se l’erosione dell’argilla risulta abbastanza semplice, soprattutto nei momenti di piena quando l’acqua raggiunge la massima potenza, lo smembramento dei grossi blocchi di gesso risulta sicuramente più lenta. Proprio grazie a questa alternanza degli strati geologici la valle del Tresinaro presenta, in alcuni suoi punti, dei veri e propri canyon scavati tra i massi affioranti di gesso, spesso fratturato in grossi blocchi.



Testi e grafiche: 
Matteo Benevelli e Debora Lervini
, Naturalisti CEAS Terre Reggiane – Tresinaro Secchia


Progetto finanziato con il contributo della Legge Regionale 9/2006

Norme per la conservazione e valorizzazione della geodiversità della Regione Emilia-Romagna e delle attività ad essa collegate
Anno 2024

Link al sito dei Geositi della Regione Emilia-Romagna:

https://geo.regione.emilia-romagna.it/schede/geositi/